Dantismo russo. La fortuna di Dante in Russia

24-04-2023

Dante con la Divina Commedia (1465) di Domenico di Michelino, conservato nel Duomo di Firenze. Fonte: Wikimedia Commons


Se si prendono in considerazione tutte le opere ispirate alla Divina Commedia che sono state scritte in Russia tra il XIX e il XX secolo, si rimane impressionati dall’interesse che Dante Alighieri aveva suscitato nell’intelligencija russa in quell’epoca. Di tutta questa produzione letteraria sul poeta fiorentino, colpisce il modo in cui la sua opera era stata interpretata, tanto da portare la critica letteraria a coniare una nuova espressione per descrivere questo particolare fenomeno: il dantismo russo. Reinterpretato soprattutto dai poeti simbolisti, Dante era stato di fatto trasformato in un vero e proprio “Dante russo” (Colucci 1989), che spesso poco aveva a che vedere con il sommo poeta fiorentino.

L’arrivo di Dante in Russia

Dante approda per la prima volta in Russia soltanto nel 1757, quando l’imperatrice Elisabetta (1709-1761) riceve in regalo un’edizione veneziana della Divina Commedia. È da allora che iniziarono a circolarne alcune copie anche a San Pietroburgo, seguite dalla timida comparsa in riviste ed enciclopedie di alcuni articoli sul poeta Dante Alighieri, e di traduzioni in russo di qualche frammento sparso della Commedia (i primi a essere tradotti furono i primi 75 versi del canto XXVIII del Purgatorio, nel 1798).

Nonostante sia stata tradotta integralmente in russo soltanto a partire dal 1842, la Divina Commedia era comunque abbastanza conosciuta negli ambienti culturali moscoviti e pietroburghesi, grazie alla diffusione delle edizioni francesi. Tra i personaggi della Commedia erano particolarmente amati il Conte Ugolino e Francesca da Rimini, sui quali furono composte diverse opere teatrali e sinfonie, come ad esempio Ugolino (1837) di Nikolaj Polevoj e Francesca da Rimini (1878) di Pëtr Čajkovskij. Inoltre, ad Aleksandr Puškin si deve il primo esempio di poesia russa in terzine dantesche: All’inizio della vita ricordo la scuola (1830). Il grande poeta russo considerava Dante un maestro della letteratura e possedeva diversi esemplari della Divina Commedia, tra cui una versione francese del 1596.

Perché Dante veniva letto in francese? Perché il francese era la lingua ufficiale dell’aristocrazia russa. Si pensi persino che molti dialoghi in Guerra e pace (1865-1869) sono in francese!

Le reinterpretazioni russe di Dante

Quando si parla di storia della traduzione russa della Divina Commedia, è importante tenere presente che la tradizione cui facevano riferimento i letterati russi del XIX secolo era, appunto, quella francese. La problematicità di questa constatazione risiede nel fatto che traducendo un’opera da una lingua diversa da quella di partenza, si rischia di trasferire alla traduzione un’interpretazione che appartiene a un’altra cultura, travisando di conseguenza il testo originale. Come se non bastasse, i dantisti russi avevano l’abitudine di interpretare l’opera dantesca a seconda alle mode che si susseguivano, decennio dopo decennio, in Russia.

Dante romantico

Dalla lettura francese della Divina Commedia (XIX secolo) deriva l’interpretazione romantica di Dante, il quale veniva concepito come un aristocratico, cultore del dolce stilnovo, militante per la giustizia, cantore di passioni e di terrore gotico, artefice di una lingua nazionale per il popolo italiano.

Il tema della lingua nazionale era inoltre molto sentito nella Russia ottocentesca, così il lavoro di Dante con il volgare fiorentino fu preso come esempio per l’introduzione di una riforma della lingua letteraria russa. Se Dante insisteva sulla dignità della lingua volgare, poeti come Aleksandr Puškin, Kostantin Batjuškov o Vasilij Žukovskij insistevano sul bisogno di una nuova lingua letteraria che si distaccasse dallo slavo ecclesiastico1 e, attraverso le loro poesie, crearono la lingua della letteratura classica.

Nell’ambiente decabrista2 Dante veniva invece considerato un eroe che si era battuto per la libertà, la verità e il popolo italiano; inoltre, tra le varie traduzioni dei canti della Divina Commedia, quella di Pavel Katenin dei primi tre canti dell’Inferno (1828-1829) viene considerata un classico esempio di poesia decabrista, proprio per il pathos civile di cui questa traduzione è permeata:

E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.

Inferno, canto I, vv. 55-60.

И каково тому, кто скопит злата,
Как все терять придет ему чреда:
Тут в мыслях плач и горькая утрата;

Таким меня зверь сотворил тогда,
Помалу вспять гоня к стремнине тесной,
Где солнца луч не светит никогда.

Traduzione di Katenin

Parafrasi delle terzine russe: e come colui che raggruzzola dell’oro, e poi arriva il suo turno di perdere tutto: nei pensieri c’era pianto e amara perdita; così mi aveva reso quella bestia allora, cacciandomi indietro, a poco a poco, verso l’angusto declivo dove non splendono mai i raggi del sole.

Nel 1833 l’uscita del saggio Dante e il suo secolo di Stepan Ševyrëv inaugura il mito del Dante teologo. Questo saggio è il primo studio russo su Dante in cui la Divina Commedia viene definita un’unione tra poesia e religione: la Commedia diventa così un poema lirico-simbolico, mentre Dante diventa un poeta-teologo. Quella dantesca divenne così un’opera di grande significato metafisico-spirituale che ispirò soprattutto i poeti simbolisti, come Z. N. Gippius, Dmitrij Merežkovskij, Aleksandr Blok, Kostantin Bal’mont, Valerij Brjusov, Vjačeslav Ivanov ed Ellis. Ciò che caratterizzava il clima culturale dell’Età d’argento era difatti la ricerca di una nuova unità culturale e religiosa per la Russia, e chi meglio di Dante avrebbe potuto guidare il popolo russo in un percorso esoterico che conduceva ai misteri più intimi dell’essere?

La principale fonte di tale reinterpretazione sono gli scritti di Vladimir Solov’ëv (1853-1900) sulla Divina Sofia. Fu soprattutto l’Inferno, con il suo viaggio di pena ed espiazione, a stimolare la fantasia dei simbolisti: secondo loro, questo viaggio di purificazione poteva essere compiuto solo da chi aveva al proprio fianco una guida e una Dama celeste verso la quale ascendere.

Anche i poeti simbolisti si cimentarono nella traduzione di alcuni frammenti della Divina Commedia e della Vita nova: Valerij Brjusov, Vjačeslav Ivanov ed Ellis tradussero rispettivamente l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Le loro traduzioni evidenziano non solo il loro interesse per alcuni aspetti della Commedia (la pena eterna, l’esilio, la purificazione dell’anima, l’ispirazione poetica), ma anche la loro volontà di infondere nella poesia russa nuove idee, temi e immagini. Ad esempio, le traduzioni di Ivanov della Vita nova, del Convivio e della Commedia volevano trasmettere l’idea della natura simbolica della poesia, rappresentando Dante come il poeta-teurgo:

Dolce color d’orïental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,

a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ’l petto.

Purgatorio, canto I, vv. 13-18.

Цвет сладостный восточного сафира
По первый круг сгущаясь в вышине
Чистейшего, прозрачного эфира,

Опять целил и нежил очи мне,
Так долго мертвым воздухом, без света,
Дышавшему в исхоженной стране.

Traduzione di Ivanov

Parafrasi delle terzine russe: il dolce colore dello zaffiro orientale, che per il primo giro si propagava nelle altezze dell’etere puro e limpido, raggiunse di nuovo i miei occhi, deliziandomi, che a lungo avevo respirato l’aria morta, senza luce, nel lido dal quale venivo.

Dante raznočinec

Dopo la crisi del Simbolismo nel 1910, la concezione dell’opera dantesca subì un’importante trasformazione sotto l’influenza della poesia acmeista. Fu soprattutto nell’opera di Anna Achmatova e di Osip Mandel’štam che venne fatta una nuova riflessione sulla lingua della Divina Commedia, che fu presa a modello per l’enunciazione della poetica acmeista.3 È in questa nuova prospettiva che nacque la traduzione di Michail Lozinskij, divenuta poi la traduzione ‘classica’ della Commedia, letta e studiata dai russi ancora oggi.

Il saggio Conversazione su Dante (1933) di Mandel’štam rappresenta infine un tentativo di eliminare “tutte le stratificazioni romantiche e neoromantiche accumulatesi […] attorno alla figura e all’opera del fiorentino”.4 Criticando l’atteggiamento della sua patria nei confronti del sommo poeta, Mandel’štam contrappone al mito del Dante aristocratico la figura di un goffo e insicuro Dante raznočinec (ovvero un intellettuale che non apparteneva alla nobiltà), che tuttavia era un vero “artigiano della parola”:

Dante è un poveraccio di antico sangue romano; interiormente è un raznočinec, meno capace di compiutezza che del suo opposto. Bisognerebbe essere talpe cieche per non vedere che in tutta la Divina Commedia egli non sa come comportarsi, dove mettere i piedi, non sa cosa deve dire, né come fare un inchino. […] Gli studi danteschi sono sempre stati ostacolati dalla fama del Poeta, e continueranno probabilmente a esserne ostacolati ancora per molto tempo. La ’lapidarietà’ di Dante è semplicemente l’effetto di un grandissimo squilibrio psicologico cui il Poeta trova sfogo immaginando supplizi, sognando incontri.

L’immagine proposta da Mandel’štam è dunque ben lontana da quella consueta dell’esule genio, la cui aura mistica aveva di fatto impedito di intraprendere studi più approfonditi sulla persona e l’opera di Dante Alighieri.

Dante socialista

Se all’inizio del Novecento gli studi accademici su Dante lo vedevano essenzialmente come un autore cristiano legato alla tradizione cattolica medievale, a partire dagli anni Venti iniziarono a comparire nuovi studi che non solo riportarono Dante nel contesto della lotta contro l’autorità del Papa, ma che soprattutto diedero un’interpretazione marxista alla Divina Commedia. Per riportare un paio di esempi, lo storico Vadim Bystrjanskij paragonava la lotta contro il Papa alla lotta della classe operaia contro il capitalismo; Anatolij Lunačarskij guardava la Divina Commedia come a un’opera politico-sociale, considerandola la prima al mondo ad aver analizzato e definito la classe borghese. Nel 1935, inoltre, il presidente dell’Unione degli scrittori sovietici Aleksandr Fadeev definì Dante persino progenitore del metodo del realismo socialista,5 riconoscendo alla Commedia il pregio di aver fornito un quadro oggettivo della lotta di classe del suo tempo nonostante l’allegoria del viaggio fantastico nell’Oltretomba.

Dante profeta

Totalmente opposta era invece l’interpretazione che di Dante fece l’intelligencija emigrata dopo la Rivoluzione. Fu in particolare Dmitrij Merežkovskij, fuggiasco e condannato a morte dai bolscevichi, a vedere nel sommo poeta il portavoce di una particolare interpretazione del Cristianesimo, l’uomo che aveva compreso meglio di chiunque altro il significato del proprio tempo. L’esule russo sentiva il proprio destino molto vicino a quello di Dante, tant’è che nell’introduzione della sua monografia Dante (1937) scrisse: “È solo un caso o qualcosa di più, il fatto che, proprio in questi giorni penosi per tutta l’umanità, […] un russo scriva di Dante, un mendico di un mendico, un disprezzato, un esule di [un] esule, un condannato a morte di un condannato a morte?”.6

Secondo Merežkovskij, l’eccezionalità di Dante stava nella lotta per un Cristianesimo futuro e nell’annunciazione di una nuova esistenza per l’umanità, cose per cui aveva lottato anche egli stesso nel suo Paese. Nelle tre cantiche della Commedia Merežkovskij vedeva allora il cammino di iniziazione dell’essere umano verso il Regno del Terzo Testamento, ovvero il Regno dello Spirito Santo che sarebbe venuto con la riconciliazione dell’umanità nella Trinità:

Il simbolo della guerra è il Due. Due classi nemiche, i ricchi e i poveri, nell’economia; due popoli, il proprio e lo straniero, nella politica; […] due Dei, l’uomo e Dio, nella religione. Ovunque è il Due, e fra i Due arde senza fine la guerra. Perché la guerra cessi, bisogna che i Due si uniscano nel Terzo: le due classi in un popolo, i due popoli dell’universalità, […] le due religioni, l’umana e la divina, in quella divino-umana. […] Il simbolo matematico della pace è dunque il Tre.

Sebbene non sia stato molto apprezzato dai contemporanei, il libro di Merežkovskij offre un interessante ritratto psicologico di Dante, cosa che non era mai stata fatta fino ad allora: un poeta scosso da una grande pena d’amore perché sposato a una donna che non amava e che, preso da “deliri di follia” dopo la morte dell’amata Beatrice, era stato in grado di creare la più grande opera della letteratura mondiale.

Gli autori “danteschi”

Come abbiamo visto, l’opera dantesca trovò terreno fertile nella civiltà letteraria russa e ispirò, tra l’Ottocento e il Novecento, opere come Le anime morte (1842) di Nikolaj Gogol’, la trilogia L’ebreo arriva (1888-1891) di Vsevolod Krestovskij, Canto d’inferno (1909) di Aleksandr Blok, Dante (1937) di Dmitrji Merežkovskij, L’ultimo Cerchio (e il Nuovo Dante all’Inferno) (1942-1944) di Z. N. Gippius e molte altre ancora. Il sistema concettuale dantesco ebbe inoltre grande influenza sulle concezioni estetiche e poetiche dell’Acmeismo, come nella poesia di Anna Achmatova, Nikolaj Gumilëv od Osip Mandel’štam.

Nikolaj Gogol’ (1809-1852)

Precursore del realismo magico, Gogol’ era un grandissimo scrittore di racconti, dove la memoria storica della Russia s’intreccia alla magia delle fiabe. Nelle sue opere Gogol’ contrappone al passato glorioso dell’Impero russo un presente meschino e opprimente, ben rappresentato dalla burocrazia di San Pietroburgo. Le anime morte (1842), definito dall’autore un “poema”, potrebbe essere definita una “Divina Commedia russa”, che aveva l’ambizione di mostrare un affresco della Russia contadina e zarista — denunciandone la mediocrità e il materialismo — e la smisurata ricchezza dello spirito russo attraverso la redenzione del protagonista Čičikov.

“Anime morte” era l’espressione con la quale la burocrazia russa si riferiva ai servi della gleba deceduti che però risultavano ancora vivi in attesa del nuovo censimento e per i quali i proprietari terrieri pagavano ancora le tasse. Tuttavia il titolo non si riferisce soltanto ai servi, ma anche ai loro padroni, abbruttiti e grotteschi, che non mostrano alcuna traccia di vita spirituale. Il romanzo si componeva originariamente di due parti: la prima aveva lo scopo di rappresentare l’“inferno” del presente, mentre la seconda avrebbe dovuto proporre figure edificanti per avviare un percorso di redenzione per l’intero popolo russo. La realtà della Russia zarista offriva però ben poco materiale per la seconda parte dell’opera e nel 1845 Gogol’ bruciò quasi tutti i materiali della seconda parte.

Aleksandr Blok (1880-1921)

Tra i poeti simbolisti cultori dell’Eterno Femminino, Blok fu senza dubbio il più importante, il cui ciclo di poesie sulla Bellissima Dama (1904) gli fece guadagnare la fama di “poeta dantesco”. Se le poesie sulla Bellissima Dama si erano ispirate alla Vita nova (così come a Solov’ëv, Goethe e Petrarca), dopo una crisi spirituale del poeta che lo fece sentire abbandonato dalla sua Musa, la Divina Commedia divenne la nuova fonte d’ispirazione per interpretare l’“inferno” della realtà e del mondo moderno. Frutto di questa nuova ispirazione è la raccolta Poesie. Libro terzo (1907-1916), dove è contenuta la poesia in terzine Canto d’inferno (1909).

Dmitrij Merežkovskij (1866-1941)

Ideatore della società filosofico-religiosa nella città di San Pietroburgo (“Incontri Religioso-Filosofici di San Pietroburgo”) e della rivista La nuova strada (1902-1904), Merežkovskij fu costretto a lasciare la Russia clandestinamente nel 1919, a causa dei complicati rapporti con lo Stato e la Chiesa russi. Non abbandonando mai la speranza di un ritorno in patria, egli vedeva la salvezza per il mondo intero nella sua teoria del Terzo Testamento, di cui, insieme a Dante Alighieri, si considerava il profeta. Con la sua opera Dante (1937) Merežkovskij voleva allora riportare in vita il profeta che aveva mostrato per primo la via della salvezza, la via d’uscita dalla selva oscura. Il Dante di Merežkovskij si fece così portavoce dei migranti russi, fuggiti, come lui, da una patria che li voleva morti ma verso la quale erano ancora rivolti i sospiri. Quest’opera rappresenta difatti un tentativo dell’autore di risvegliare le coscienze per incitarle alla lotta contro l’Unione Sovietica, da lui ritenuta il “Regno dell’Anticristo”.

Al di là degli elementi biografici in comune con Dante, quasi tutta l’opera di Merežkovskij è profondamente legata alla civiltà trecentesca; inoltre, la trilogia Cristo e Anticristo (1896-1905) — che nel 1931 gli valse la candidatura al Premio Nobel per la letteratura — era molto vicina alla Divina Commedia per tematiche e struttura. Se dovessimo fare un confronto tra Dante e Merežkovskij, troveremmo un punto d’incontro sicuramente nella concezione del mondo per contrasti, secondo un complesso sistema di tesi, antitesi, sintesi e schemi trinitari.

Z. N. Gippius (1869-1945)

Celebre salonnière a San Pietroburgo e Parigi, Gippius era una delle figure centrali del Simbolismo russo e, insieme a Merežkovskij, del risveglio religioso dell’intelligencija russa. Nel loro misticismo, raffinatezza linguistica, sofisticatezza e umorismo, le storie di Gippius somigliano molto alle novelle medievali; inoltre le analisi introspettive dei suoi personaggi descrivono quella che riteneva sarebbe dovuta essere l’umanità del Terzo Testamento.

Durante gli ultimi anni della sua vita Gippius scrisse il poemetto L’ultimo Cerchio (e il Nuovo Dante all’Inferno) (1942-1944), legato sia all’idealismo, sia al dantismo russo. Scritto sulla falsa riga della Divina Commedia, il poemetto rappresenta un esperimento poetico in cui si è cercato di creare sia un Dante “moderno” molto vicino all’interpretazione di Merežkovskij, sia l’immagine di un inferno molto vicina al Canto d’inferno di Blok.


Bibliografia

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Sitografia


Note


  1. Lo slavo ecclesiastico era la lingua liturgica della Chiesa ortodossa dell’area slava, come quella russa, bulgara, macedone o serba. Nonostante non venisse mai parlata al di fuori delle funzioni religiose, prima del XVIII secolo in Russia lo slavo ecclesiastico era la lingua letteraria. ↩︎

  2. I decabristi erano membri di società segrete che diffondevano idee liberali e socialiste nella Russia zarista del XIX secolo. Quello decabrista fu il primo movimento rivoluzionario russo a chiedere l’abolizione della servitù della gleba e la fondazione di uno stato repubblicano. ↩︎

  3. L’Acmeismo è un movimento letterario nato in contrapposizione al Simbolismo. Il suo stile espressivo si fonda sulla chiarezza del linguaggio e sulla concretezza dei contenuti. ↩︎

  4. Colucci 2007: 184. ↩︎

  5. Movimento artistico e culturale dell’Unione Sovietica che celebrava il progresso socialista. Temi ricorrenti erano la lotta di classe, la storia del movimento operaio, la vita quotidiana dei lavoratori. ↩︎

  6. Traduzione di R. Küfferle. ↩︎


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