Corpo e identità. Un confronto tra gli studi di genere e il romanzo "Il corpo" di Ekaterina Bakunina
21-04-2022
Introduzione
Il corpo è la parte più tangibile del nostro essere. Così concreto, dà l’impressione di essere la nostra parte più stabile, il punto di riferimento della nostra esperienza. Difatti è attraverso il corpo che percepiamo tutto ciò che succede all’esterno rispetto a noi, e non solo: è attraverso esso che percepiamo anche la nostra interiorità. Ma in che modo acquisiamo e traduciamo, nella nostra esperienza, le percezioni del corpo? E quale significato attribuiamo a quest’ultimo? Nella voce “corpo” dell’enciclopedia Einaudi, José Gil scrive:
Il corpo non significa nulla, dice nulla; esso parla sempre esclusivamente la lingua degli altri (codici) che in esso vengono a essere iscritti.
Ciò significa che il corpo, nella sua essenza, non ha alcun significato e siamo solo noi, orientati dalla società in cui viviamo, ad attribuire un senso a tutte le sue manifestazioni. Fa così la sua comparsa quello che sembra il suo vero antagonista: il potere. Eppure Umberto Galimberti (2012) ci fa notare che in realtà il corpo non si oppone proprio a nulla: esso vive in un mondo codificato dal potere, ma al cui codice è sempre possibile sottrarsi attraverso una lettura differente delle cose.
A partire dagli anni Sessanta si è assistito alla nascita di nuovi studi interdisciplinari, i Gender Studies, che si ponevano come obiettivo la decostruzione dei significati imposti alla realtà dal potere; tali significati sono talmente radicati in noi da apparirci a volte come naturalmente motivati. Questi nuovi studi hanno come punto di partenza gli studi femministi, che in varie forme avevano messo in discussione il ruolo che veniva assegnato alle donne in una società governata da uomini. Il corpo femminile diventa così oggetto di molti studi empirici volti ad analizzare le pratiche culturali e sociali ad esso legato. Le società umane sono difatti fondate sulla distinzione maschio/femmina utilizzando come prova della legittimazione del potere dell’uomo sulla donna il corpo, un fatto naturale e dunque incontestabile. Ebbene, è proprio in virtù di questa ‘superiorità’ del corpo maschile che vennero a formarsi le prime società patriarcali.
Lo scopo di questo articolo è illustrare quanto gli studi femministi siano importanti per la riappropriazione di un senso più autentico1 del nostro corpo, proprio perché cercano di decostruire l’ideologia nascosta dietro alla società in cui viviamo. Inoltre, verrà presentato un brano estratto (pp. 17-19) dal romanzo Il corpo (1933) di Ekaterina Bakunina per analizzare, dal punto di vista psicoanalitico, il modo in cui instauriamo il rapporto tra io e corpo attraverso lo specchio.
Il corpo come costrutto sociale
Nel corso della storia è stato rilevato quanto la scienza tradizionale sia sempre stata riluttante nei confronti del corpo; quanto la filosofia abbia sempre esaltato il valore della ragione; quanto la religione abbia sempre disprezzato la corruzione del corpo. Tale atteggiamento pessimista è stato definito da Sue Scott e David Morgan (1993) “anti-body bias”. Sempre considerato dominio delle scienze biologiche, il corpo era ritenuto il simbolo della natura, pertanto doveva necessariamente essere contrapposto alla cultura e quindi anche alla società. Anche nell’ambito della sociologia la tendenza era di focalizzare gli studi su strutture sociali e istituzioni, osservando di conseguenza gli individui come fossero entità disincarnate, piuttosto che esseri viventi fatti di carne e sangue.
Studiose come Evelyn Keller (1985), Susan Bordo (1987) e Moira Gatens (1996) hanno concepito la negligenza della scienza nei confronti del corpo come prodotto del dualismo cartesiano e del centrismo della razionalità nella scienza modernista: l’esperienza umana era stata di fatto divisa in due sfere, la prima corporea e la seconda spirituale; il corpo femminile era stato assegnato alla sfera corporea (ed era divenuto simbolo di natura, emozionalità, irrazionalità e sensualità), mentre il corpo maschile era stato assegnato a quella spirituale (e simboleggiava volontà, potere, razionalità e autocontrollo). Rappresentare il corpo femminile in questi termini significa rappresentare la femminilità come estranea — l’altro (das Fremde) — misteriosa, indisciplinata e capace di sfidare l’ordine sociale attraverso la seduzione (fatto che avrebbe portato a lussuria, violenza e persino morte).
È nel discorso accademico postmoderno che finalmente si assiste a un cambio di rotta nell’atteggiamento nei confronti del corpo. Arthur Frank (1990) definisce questo fenomeno “body revival", dato che gli studi sociali avevano cominciato a considerare il corpo un fenomeno della realtà empirica. Il corpo è divenuto così il principale componente non solo dell’essere, ma anche dell’organizzazione sociale; inoltre la diversità con cui si manifesta nelle varie culture è stata usata dai sociologi quale prova di costruzionismo sociale: il fatto che le pratiche sul corpo variano di cultura in cultura mostra difatti quanto sia ormai inaccettabile concepire il corpo umano come qualcosa di naturale. Secondo tale prospettiva, il corpo viene posto quale punto di partenza favorito per la critica dell’universalità, dell’oggettività e dell’assolutismo morale. Ciononostante, il body revival raggiunse la massima espressione con il femminismo, grazie al quale le tematiche ad esso legate iniziarono a essere considerate problemi politici: il corpo divenne così il fulcro della lotta per le rivendicazioni femministe (come il controllo sulla fertilità o il diritto all’aborto) e il nuovo punto di partenza dell’analisi delle relazioni di potere nelle società patriarcali.
In ambito accademico, infine, il femminismo ha introdotto analisi di genere e di potere che mostrano come il corpo maschile e femminile sia stato concettualizzato nel tempo nel discorso scientifico. A partire dagli anni Sessanta è stato condotto un gran numero di ricerche che guardavano al corpo femminile come il soggetto di molti studi empirici in una grande varietà di contesti e discipline. Ad esempio, molti studi si focalizzavano su come le donne facessero esperienza del proprio corpo e in che modo quest’ultimo fosse implicato nelle varie pratiche sociali e culturali, compresa la sua rappresentazione simbolica.
Gli esponenti dell’etnometodologia e del decostruttivismo sono convinti che persino la differenza sessuale dei corpi sia socialmente determinata: di conseguenza, le distinzioni tra i corpi maschili e femminili vengono concepite secondo criteri convenzionali e variabili nel tempo. Difatti, quando a un corpo viene attribuito un determinato genere, è fondamentale comprendere quanto l’espressione di quest’ultimo dipenda da una percezione visiva di Gestalt comune all’interno del gruppo sociale. Da sempre le società umane sono di tipo “somatico”, il che significa che la corporeità è legata non solo all’esperienza dell’individuo, ma anche al suo status sociale. A differenza dell’organismo, il corpo non è un fatto naturale, bensì un prodotto culturale, in quanto è rappresentazione simbolica della cultura di appartenenza dell’individuo e, pertanto, anche della sua esperienza personale, identità e unicità.
Iris Young (1990) formula una teoria che scardina il potere dei gruppi dominanti tenendo in considerazione le differenze individuali in base a classe sociale, background etnico, locazione geografica, orientamento sessuale e salute. Tale teoria fa del corpo lo strumento principale per capire come i gruppi dominanti (bianchi, occidentali, borghesi, uomini, eterosessuali) creino la categoria dell’altro relegandovi certi gruppi sociali, come ad esempio donne, persone anziane, omosessuali, grasse, di colore e così via. In questo modo il loro corpo diventa il principale motivo di discriminazione, perché “brutti”, “ripugnanti”, “impuri”, “malati” o “deviati”. Si può così affermare che attraverso il corpo non solo viene espressa l’identità personale, ma viene anche (e soprattutto) definito lo status sociale di una persona: questa “misurazione estetica dei corpi” (aesthetic scaling of bodies),2 come la chiama Young, giustifica così le disuguaglianze sociali e le gerarchie di potere ed è il perno sul quale ruota il processo di dominazione.
Negli studi femministi la salute delle donne occupa una posizione di rilievo, in quanto i discorsi medici giocano un ruolo importante nella concezione del corpo femminile come “instabile, malato e indisciplinato per natura”: dall’isteria e ninfomania del XIX secolo, all’anoressia, depressione post partum, sindrome premestruale e menopausa del XX secolo, le donne sono sempre state viste come più suscettibili a certe malattie rispetto agli uomini. Inoltre, l’esperienza delle donne con il proprio aspetto esteriore è stata esplorata a partire dalle comuni pratiche di bellezza, fitness e moda fino ad arrivare ai disturbi alimentari e alla chirurgia estetica. Anche il modo in cui il corpo femminile viene rappresentato nei film e nei programmi televisivi è stato decodificato, ed è stato mostrato quanto i mass media siano implicati nella costruzione di una femminilità3 che punta a un canone quasi inarrivabile di bellezza: magrissima e assolutamente bianca.
A livello teorico, Dorothy Smith (1990) ha provato a concettualizzare il ruolo e il corpo delle donne, individuando come, in una società in cui le donne vengono istruite sull’inferiorità del loro corpo, esse assumano un atteggiamento che le porta a considerare quest’ultimo come “manchevole” e dunque come un oggetto da “aggiustare”. Di conseguenza, la continua insoddisfazione porta le donne a interagire con il proprio corpo come con un attrezzo da lavoro, uno “strumento per fare la femminilità”. A conferma di questa visione del corpo femminile, pratiche come la chirurgia estetica possono essere intese come strumento di “miglioramento” del corpo; tuttavia una visione di questo tipo sarebbe troppo riduttiva nei confronti del soggetto, in quanto l’espressione dell’identità avviene anche attraverso l’aspetto esteriore. La chirurgia estetica non serve difatti soltanto a rendere un corpo più femminile o a conformare il proprio aspetto a un canone di bellezza più o meno imposto dalla società: molto spesso l’individuo segue un proprio canone estetico che riflette il suo gusto personale, facendo della chirurgia (così come l’abbigliamento, il make up, la cura personale ecc…) un atto d’espressione identitaria.
Come scrivono molti studiosi, l’identità personale è frutto di un lungo processo d’interiorizzazione di esempi di ‘vera e giusta’ femminilità o mascolinità provenienti dalla società in cui si vive, i quali vengono poi rielaborati in versioni individuali attraverso l’esperienza personale e l’educazione famigliare e scolastica ricevute. È per questo motivo che l’identità di genere gioca un ruolo centrale sia nella costruzione dell’identità dell’individuo, sia nel suo rapporto con il proprio corpo. Femminilità e mascolinità sono espresse nel corpo non solo in termini di dimensioni, forza, resistenza, flessibilità, ma anche per mezzo di abitudini (igiene, nutrizione, consumo, buon gusto, abbigliamento ecc…) assimilate con l’educazione; tuttavia il processo di maturazione e formazione del corpo può spesso portare a conflitti interiori e dunque a percorsi dolorosi di sviluppo.
Il corpo di Elena: il romanzo di Bakunina
Anticipando di qualche decennio gli studi femministi, il breve romanzo Il corpo (1933) di Ekaterina Bakunina riporta la severa autocritica di una donna, Elena, non solo nei confronti del proprio corpo, ma anche del proprio comportamento in relazione alla famiglia, agli amanti e alla società. Nonostante gli elementi autobiografici in comune con l’autrice e la forma monologica del romanzo, già nella prima pagina del romanzo la protagonista spiega che:
То, что я пишу от первого лица, вовсе не значит, что я пишу о себе. Мое ‘я’ потеряно и заменено образом женщины, вылепленной по типовому образцу. В этой женщине я тщетно пытаюсь найти исчезающее, расплывающееся — свое. А нахожу чужое, сходное с другими. Следовательно, и рассказывая о себе, я говорю о других. Мне только удобнее рассматривать этих других через себя. Виднее. Так нет ничего скрытого, ошибочного, ложного, выдуманного.
Solo perché scrivo in prima persona non significa affatto che sto scrivendo di me stessa. Il mio "io" è scomparso ed è stato sostituito con il personaggio di una donna conforme al tipico modello femminile. È inutile che cerco di trovare in questa donna un io dissolto, nascosto. Quel che vi trovo è soltanto un’estranea, una simile a tante altre. Di conseguenza, anche se stessi raccontando di me, starei in realtà parlando di un’altra. È solo che mi viene più semplice osservare le altre attraverso me stessa. Ed è molto più chiaro. In questo modo nulla potrà essere nascosto, sbagliato, falso oppure inventato.
Traduzione di Alessandra Gallia
Questa premessa difatti è molto importante per capire il significato dell’intera opera e non è chiaro perché Giovanna Spendel abbia deciso di omettere questo passaggio nella sua traduzione italiana.
Influenzata da Freud, Nietzsche, Lawrence e Woolf, in quest’opera Bakunina indaga la realtà personale femminile, la tensione verso l’altro, l’assenza di comunicazione tra uomini e donne, l’estraneità dell’immagine speculare, gli stereotipi di genere. Altri temi affrontati nel romanzo sono poi i rapporti sessuali, il matrimonio riparatore, il parto, l’amore materno, l’aborto e la depressione. Come s’intuisce dal titolo, il grande protagonista del romanzo è il corpo, in tutta la sua esperienza fisica e simbolica.
L’esperienza di Elena con il proprio corpo è negativa, in quanto lo vede come qualcosa di diverso ed estraneo da sé, come una creatura separata e indisciplinata. Guardarsi allo specchio diventa allora per la donna un’esperienza odiosa, soprattutto perché non si riconosce nel proprio riflesso, poiché l’aspetto esteriore del corpo — a suo parere brutto e invecchiato — tradisce la bellezza dell’anima. Se non avesse avuto proprio quel corpo — pensa la donna — avrebbe potuto sicuramente aspirare a meglio nella vita:
Tutto questo mi esaspera per l’intollerabile contrasto tra l’essere e il sembrare. Con che rabbia farei a brandelli la mia pelle che sta invecchiando, getterei via i seni che dondolano mentre cammino, mi strapperei gli occhi non desiderati che detesto! Nascere con un corpo scomodo ed essere tagliata fuori da tutte le possibilità solo per l’aspetto esteriore! Proprio questa verità racchiude qualcosa di irrimediabile che mi fa andare su tutte le furie.
La protagonista del romanzo sembra essere caduta nel paradosso del binomio specchio-identità: tale concetto significa che nonostante lo specchio aderisca alla realtà e rifletta fedelmente l’immagine di chi si guarda, esso assume spesso una connotazione perturbante che introduce conflitti nell’io e rivela l’altro (das Fremde). In questo modo viene ad aprirsi una frattura tra come ci si sente e ciò accade al proprio corpo, dato che lo specchio simboleggia lo sguardo degli altri: se l’identità viene a costruirsi in relazione al confronto con il mondo sociale, la simulazione dello specchio permette allora un confronto tra l’immagine interna ed esterna dell’individuo. Un risvolto negativo di questa esperienza può tuttavia portare alla perdita dell’identità, la quale si frantuma e si moltiplica in pezzi che non riescono più a ricomporsi, portando a un cammino di sofferenza e tormento, come nel caso di Elena.
Il motivo per cui Elena detesta il proprio corpo riflesso nello specchio è per via del conflitto che viene a crearsi con l’immagine mentale che ella ha di sé. Quando una persona si mette davanti a uno specchio, si pettina, si trucca, si veste e così via, cerca di fatto di adeguare la propria immagine esteriore a un modello preesistente di natura sia interna sia esterna. L’immagine che il soggetto ha di sé corrisponde infatti alla sintesi di un modello esterno-oggettivo (che si rifà al modo in cui ci si riconosce all’interno della società) e di un modello interno-soggettivo (che si rifà invece al modo in cui ci si vede e si vuole essere visti). L’immagine oggettiva che riflette lo specchio può allora tradursi in un’esperienza negativa che causa frustrazione, proprio perché sancisce una frattura tra come ci si sente e come ci si vede: insensibile ai sentimenti, lo specchio restituirà sempre un’immagine oggettiva del soggetto, rivelando inoltre ciò che non vorrebbe vedere, come i suoi difetti, il tempo che passa, la malattia.
Sulla formazione del modello interno-soggettivo si può affermare che l’immagine del sé è data da un preciso senso che il soggetto ha di se stesso e del proprio corpo, chiamata sensibilità propriocettiva.4 È inoltre interessante osservare come l’immagine mentale del volto non coincida con l’immagine dello specchio, in quanto la prima è influenzata dal ricordo di ritratti o fotografie precedenti: questi frammenti di ricordi vengono sintetizzati in un’unica immagine che possiede una forte valenza individualizzante, e quindi ideale. Difatti quest’immagine ideale non coincide con quella oggettiva dello specchio perché si tratta di un’immagine resa familiare dall’abitudine e dall’amore per se stessi, che rimane costante nel tempo: è ciò che Freud chiama “il piacere del ritrovamento del già noto”, ovvero la sensazione rassicurante di vedere nello specchio sempre lo stesso volto.
A complicare ulteriormente il rapporto con il suo corpo è l’evidente interiorizzazione, da parte della protagonista, dell’opinione maschile nei confronti delle donne. Per citare alcuni esempi:
Una donna non bella è un progetto non riuscito.❞ (p. 17)
❝In me è racchiuso qualcosa che desidera una sconfinata sottomissione.❞ (p. 20)
❝Io mi scontro in continuazione con imperativi interiori incompatibili con la concezione corrente di comportamento.❞ (pp. 20-21)
❝Un’indole paurosa che sconfina con la vigliaccheria è vergognosamente legata al mio sesso.❞ (p. 27)
❝Per mia disgrazia le dita femminili sono ricettive all’ago.❞ (p. 26)
❝In me, nel mio io femminile, vive una arrendevolezza ereditaria, elaborata da secoli. (p. 39)
Quando le succede qualcosa che non la fa sentire all’altezza della situazione, il continuo riecheggiare di queste ‘massime’ nella testa di Elena amplifica enormemente la sensazione di estraneità nei confronti del proprio corpo, tanto da sembrarle davvero che esso agisca fuori dal suo controllo, come se seguisse inevitabilmente una qualche ‘inclinazione naturale’. Tuttavia, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, questi ragionamenti sono frutto di un processo cognitivo innescato dall’imprimersi nella mente di modelli di femminilità e mascolinità tossici provenienti dalla società in cui si vive, e nel caso della protagonista de Il corpo si tratta proprio della società russa prerivoluzionaria.
Conclusioni
Considerato dominio della biologia, il corpo è stato per secoli contrapposto alla cultura — e quindi alla ragione — sminuito nella sua importanza dalla scienza tradizionale, dalla filosofia e dalla religione. Sulla distinzione natura/cultura si è osservato inoltre come questo concetto abbia influenzato la concezione della differenza tra maschi e femmine, la quale relega la donna nella sfera della natura e l’uomo in quella della cultura. Grazie agli studi femministi, il corpo è riuscito finalmente a riscattarsi dalla cattiva fama che aveva avuto presso le varie scienze ed è diventato, all’interno del discorso accademico postmoderno, uno strumento fondamentale per lo studio dell’organizzazione sociale. Secondo tale approccio, il corpo è ora una superficie su cui vengono scritte le norme sociali e culturali, tramite le quali si manifestano il potere e le gerarchie sociali. Ciò che caratterizza un gruppo come dominate rispetto a un altro sono difatti le determinate caratteristiche che i corpi possiedono, per via delle quali vengono a crearsi delle fazioni antagoniste, come “uomini vs donne”, “bianchi vs neri”, “magri vs grassi” e così via.
Questo articolo ha lo scopo di riflettere sull’atteggiamento che le donne assumono nei confronti del loro corpo in una società che le istruisce costantemente sulla loro inferiorità, riportando gli studi fatti da alcune femministe. In virtù dell’aspetto interdisciplinare degli studi femministi, si è voluto infine analizzare, dal punto di vista della psicoanalisi, perché a volte risulta difficile identificarsi e riconoscere il proprio corpo, portando come esempio un passo tratto dal romanzo Il corpo di Ekaterina Bakunina.
La protagonista del romanzo è un tipo di donna che ha interiorizzato stereotipi di genere femminili talmente invasivi da non consentirle di avere un rapporto sereno (e sano) con il proprio corpo, che le fanno vedere in ogni suo atteggiamento soltanto la loro conferma. L’esperienza tormentata di Elena nei confronti del corpo e della femminilità (così come quella di tutte le altre persone) diventa allora utile per comprendere quanto gli studi femministi siano importanti per le donne e per gli uomini nel raggiungimento di una maggiore consapevolezza sul proprio corpo, poiché non sono solo i modelli di femminilità a essere nocivi, ma lo sono anche quelli maschili. Per cambiare in meglio il nostro modo di vivere nel mondo, il nostro modo di vedere e accettare noi stessi, è fondamentale cambiare prospettiva, strappare quel velo sugli occhi che ci fa vedere ciò che è culturalmente costruito come un qualcosa di naturalmente motivato.
Bibliografia
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Sitografia
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- Rainville, Camille (2020). “Be a Lady They Said”, narrated by C. Nixon, a video by Girls. Girls. Girls. Magazine.
- Tiny Peter (2020). “Il Meglio Dei Griffin ITA #38”.
Note
-
Autentico nel senso di orientato a un sentire interiore, in contrapposizione quindi al senso dettato dal potere. ↩︎
-
Per avere un’idea più chiara del concetto di scaling si consiglia la visione di questa gag dei Griffin (1:32-1:43). ↩︎
-
Sul concetto di femminilità si consiglia la visione di Be a Lady They Said, un video in cui Cynthia Nixon recita l’omonima poesia di Camille Rainville (2017). ↩︎
-
Sull’argomento: Lacan 1949. ↩︎